Il babà. Sapore di notti d’Oriente alla corte di Napoli

C’era una volta un re che amava la buona cucina…

Potrebbe sembrare l’inizio di una favola ma è il principio della storia del dolce napoletano più famoso al mondo: il babà. Oggi il babà regna incontrastato nelle vetrine delle pasticcerie di tutta Napoli, eppure le sue origini sono lontane ed antiche. La nascita risale infatti alla prima metà del Settecento, ad opera del re polacco Stanislao Leszczinski.

Dopo aver regnato per circa trent’anni sul trono di Polonia, re Stanislao fu sconfitto dallo zar di Russia Pietro il Grande e costretto a trasferirsi in esilio nel Ducato di Lorena.
Il re si dedicò agli studi politici, circondato da una corte di letterati, artisti e musicisti. Per un raffinato gourmet come il re, le pietanze servite a palazzo erano però poco interessanti. I cuochi di corte avevano uno scarso assortimento di ricette di pietanze dolci.

Narra la leggenda che un giorno il re, stanco di mangiare per l’ennesima volta un dolce locale chiamato Kughelupf, scagliò per rabbia il dolce verso una credenza. Il piatto colpì una bottiglia di rhum, che si rovesciò sul dolce. Improvvisamente la pasta divenne più morbida e spugnosa, assumendo un colore dorato , un aspetto invitante ed un sapore decisamente migliore.

Il re, affascinato dai suoi viaggi in Turchia, iniziò a perfezionare la nuova creazione facendole assumere la forma della cupola della Basilica di Santa Sofia ad Istanbul e aggiunse all’impasto dell’uvetta ed una spezia molto pregiata: lo zafferano.

La passione per la Turchia lo portò a scegliere come nome di questo nuovo dolce quello di “Ali Babà”, il famoso protagonista de Le Mille e una notte. Ma come ha fatto il babà ad arrivare dalla fredda Lorena alla calda Napoli? La storia si fa intricata..

Nel 1725 il pasticcere di Stanislao fu portato dalla figlia del re, Maria, a Versailles. Ben presto la sua fama gli permise di aprire una sua pasticceria, ancora esistente oggi a Versailles, dove iniziò a vendere i babà  con la forma che oggi conosciamo, chiamata a “testa di fungo” o a “cappello da chef”. In Francia il babà ebbe un tale successo che ne furono realizzate delle varianti, come quella con la forma di una ciambella, creata dal pasticcere Jean Anthelme Brillat-Savarin, dal quale prese il nome semplicemente di “Savarin”.

Ma Napoli? Ora ci arriviamo.  C’era in quel tempo a Napoli una giovane regina di origini austriache che mal sopportava la cucina di corte partenopea, considerandola troppo semplice per il suo palato mitteleuropeo. Maria Carolina, questo era il suo nome, chiese quindi aiuto a sua sorella, Maria Antoniettaregina di Francia.

Maria Antonietta non esitò ad inviare presso la corte napoletana un gruppo di cuochi francesi, per insegnare ai napoletani una cucina più raffinata..
Ben presto, i napoletani adattarono e personalizzarono le famose ricette francesi. I cuochi, che in francese venivano chiamati “Monsieur” divennero presto i “Monzù”, il gâteaux (torta) divenne il “gattò”, lo “choux” si trasformò in sciù ed il babà entrò di diritto sulle tavole dei nobili, dove fu personalizzato eliminando uvetta e zafferano.

Ben presto da dolce servito a corte, lo si iniziò a trovare in tutte le case della città. Il popolo napoletano assimilò rapidamente il dolce e lo portò all’esaltazione dei sapori, per la felicità dei palati nobili e plebei. Dopo quasi un secolo dalla sua invenzione, nel 1836 il babà venne ufficialmente riconosciuto come dolce tipico di Napoli nel primo manuale di cucina italiana scritto dall’Angeletti per Maria Luigia di Parma.

Oggi lo possiamo trovare di ogni tipo: semplice, grande, piccolo, farcito di panna e fragole, cioccolato e creme di ogni fattura.
Alcune pasticcerie hanno provato a sostituire la bagna al rhum con una bagna al limoncello, altre lo hanno scelto di riempirlo di gelato, per contrastare ed esaltare l’asprezza del rhum.

Quello che è certo è che i napoletani hanno riconosciuto nel babà il simbolo perfetto della loro storia, fatta di contaminazione di popoli, gusti, culture e profumi. Una dolce fusione di culture arabe e francesi, grazie al colore ambrato che ricorda il sole del Sud a Mezzogiorno e la raffinatezza del gusto della nobiltà nord europea

Chissà se il re polacco avrebbe mai immaginato una storia tanto tortuosa per quel dolce nato per caso in una noiosa giornata invernale?

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